Un pamphlet che conteneva un poema perduto di Percy Bysshe Shelley è stato acquistato dall’Università di Oxford.
Il saggio poetico di Shelley, On The Existing State Of Things, diventerà il libro n. 12.000.000 ad essere aggiunto al vasto archivio della Biblioteca Bodleiana di Oxford.
Il pamphlet di venti pagine, che è la sola copia sopravvissuta, sarà disponibile online.
Shelley scrisse l’opera tra il 1810 e il 1811, mentre studiava al primo anno dell’Università. Il saggio affronta temi quali l’abuso della stampa, le disfunzioni della politica e l’impatto globale della guerra. Stampato da un cartolaio della Oxford High Street, contiene un poema di dieci pagine di 172 versi scritti con lo pseudonimo “gentleman of the University of Oxford”. Fu attribuito a Shelley soltanto 50 anni dopo la sua morte e fu riscoperto in seguito all’interno di una collezione privata nel 2006. È stato acquistato dalla Biblioteca Bodleiana per una somma non resa nota.
Il bibliotecario capo Richard Ovenden ha dichiarato: “La missione di una grande biblioteca come quella Bodleiana è di preservare e gestire le sue collezioni a beneficio degli studenti e per porre la conoscenza nelle mani dei lettori di ogni tipo.”
Michael Rossington, professore di letteratura romantica all’Università di Newcastle, ha definito il saggio un “momento smisuratamente eccitante”.
In un evento in cui si è annunciata l’acquisizione dell’opera, l’attrice Vanessa Redgrave ha descritto Shelley come “inebriante”, aggiungendo: “Le sue parole estasiano. Sono entusiasta del fatto che, grazie alla biblioteca Bodleiana e ai suoi generosi donatori, questo lungo poema perduto di Shelley possa essere studiato dagli studenti di tutto il mondo.”
A Dicembre, mese dominato da Saturno col falcetto, si vede un grosso pentolone per l’uccisione del maiale, dentro un edificio che prospetta su una piazza con case-torri; Saturno ha i piedi legati e si prepara alla festa dei Saturnalia.
A Gennaio si vede il dio Giano sullo sfondo di una specie di quinta teatrale; in questo mese e nel successivo si facevano riti di purificazione prima dell’anno nuovo, come testimonia una figura col cappio al collo. I personaggi, molti dei quali mascherati, festeggiano con danze e musica il carnevale.
Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968)
Il commissario Pepe (1969)
Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca (1970)
Permette? Rocco Papaleo (1971)
Festival dell’Unità 1972 (1972) – cortometraggio documentaristico
La più bella serata della mia vita (1972)
Trevico-Torino – Viaggio nel Fiat-Nam (1973)
Festival Unità (1973) – documentario
C’eravamo tanto amati (1974)
Carosello per la campagna referendaria sul divorzio (1975) – cortometraggio documentaristico
Brutti, sporchi e cattivi (1976)
Signore e signori, buonanotte (1976)
Una giornata particolare (1977)
I nuovi mostri (1977) – episodi L’uccellino della Val Padana, Il sospetto, Hostaria, Come una regina, Cittadino esemplare, Sequestro di persona cara ed Elogio funebre
La terrazza (1980)
Passione d’amore (1981)
Vorrei che volo (1982) – documentario
Il mondo nuovo (La Nuit de Varennes) (1982)
Ballando ballando (1983)
L’addio a Enrico Berlinguer (1984) – cortometraggio documentaristico
Maccheroni (1985)
Imago urbis (1987) – documentario collettivo
La famiglia (1987)
Splendor (1989)
Che ora è? (1989)
Il viaggio di Capitan Fracassa (1990)
Mario, Maria e Mario (1993)
Romanzo di un giovane povero (1995)
I corti italiani (1997) – episodio 1943-1997
La cena (1998)
Concorrenza sleale (2001)
Un altro mondo è possibile (2001) – documentario collettivo
Lettere dalla Palestina (2002) – documentario collettivo
Gente di Roma (2003)
Che strano chiamarsi Federico (2013)
Sceneggiatore
Canzoni di mezzo secolo (1952)
Fermi tutti… arrivo io! (1953)
Due notti con Cleopatra (1953)
Canzoni, canzoni, canzoni (1953)
Ridere! Ridere! Ridere!, regia di Edoardo Anton (1954)
Gran varietà (1954)
Amori di mezzo secolo (1954) – episodi Girandola 1910 e Dopoguerra 1920
Accadde al commissariato (1954)
Una parigina a Roma (1954)
Un americano a Roma (1954)
Rosso e nero (1955)
Buonanotte… avvocato! (1955)
Accadde al penitenziario (1955)
I pappagalli (1955)
Lo scapolo (1955)
Mi permette, babbo! (1956)
Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo (1956)
I giorni più belli (1956)
Il conte Max (1957)
Primo amore (1958)
Non sono più guaglione, regia di Domenico Paolella (1958)
Il marito (1958)
Totò nella luna (1958)
Nel blu dipinto di blu, regia di Piero Tellini (1959)
Il nemico di mia moglie, regia di Gianni Puccini e Gabriele Palmieri (1959)
Guardatele ma non toccatele (1959)
Il mattatore (1960)
Nata di marzo (1960)
Adua e le compagne (1960)
Il carabiniere a cavallo (1961)
Fantasmi a Roma (1961)
Le pillole di Ercole (1961)
Anni ruggenti (1962)
Il sorpasso (1962)
La parmigiana (1963)
La marcia su Roma (1963)
I cuori infranti (1963) – episodio E vissero felici
L’amore difficile (1963) – episodio Le donne, L’avaro e L’avventura di un soldato
Il successo (1963)
I mostri (1963)
Follie d’estate (1963)
La visita (1963)
Alta infedeltà (1964)
Se permettete parliamo di donne (1964)
Il magnifico cornuto (1964)
Thrilling (1965) – episodio Il vittimista
Il gaucho (1965)
La congiuntura (1965)
I complessi (1965) – episodio Una giornata decisiva
Io la conoscevo bene (1965)
Made in Italy (1965)
L’arcidiavolo (1966)
Le dolci signore, regia di Luigi Zampa (1968)
Il profeta (1968)
Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968)
Il commissario Pepe (1969)
Dramma della gelosia – Tutti i particolari in cronaca (1970)
Permette? Rocco Papaleo (1971)
Noi donne siamo fatte così (1971)
La più bella serata della mia vita (1972)
Trevico-Torino – Viaggio nel Fiat-Nam (1973)
C’eravamo tanto amati (1974)
Il silenzio è complicità, regia di Laura Betti (1976)
In Febbraio è celebrato il teatro satirico, con il riferimento classico alla festa dei Lupercali (Ovidio, Fasti, II 290) quando i “pastori arcadi” correvano nudi. Mentre a sinistra vengono intagliate fiaccole, la figura al centro versa dell’acqua su figure nude, probabile allusione al dio februo, anticamente dedito a riti di purificazione con acqua e fuoco.
Come ultimo arazzo del ciclo, è firmato sul pilastro a destra da Benedetto da Milano.
Invece di citare Il nome della rosa, l’esametro finale stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus, variazione da De contemptu mundi di Bernardo Morliacense, o di riempire la pagina con la biografia e la bibliografia (che si può trovare comodamente su wikipedia), preferisco ricordare Umberto Eco con un suo intervento su Repubblica del 1982, pubblicato poi insieme ad altri articoli in Sette anni di desiderio (Milano, Bompiani, 1983), intervento che è di un’attualità sconcertante. Il mio omaggio e la mia gratitudine all’ultimo vero intellettuale italiano, a colui che mi ha accompagnato e istruito 24 anni orsono con il suo Come si fa una tesi laurea (Milano, Bompiani, 1977). Se ho conseguito il titolo di dottore in filosofia lo devo anche a lui.
La Repubblica, 16 aprile 1982
La voglia di morte
Ogni tanto accade di dover spiegare a qualcuno o a noi stessi che cosa sia il fascismo.
E ci si accorge che è categoria molto sfuggente: non è solo violenza, perché ci sono state violenze di vari colori; non è solo uno stato corporativo, perché ci sono corporativismi non fascisti: non è solo dittatura, nazionalismo, bellicismo, vizi comuni ad altre ideologie.
Talché si rischia in fin dei conti sovente di definire come “fascismo” l’ideologia degli altri.
Ma c’è una componente dalla quale è riconoscibile il fascismo allo stato puro, dovunque si manifesti, sapendo con assoluta sicurezza che da quelle premesse non potrà venire che “il” fascismo: ed è il culto della morte.
Nessun movimento politico e ideologico si è mai cosi decisamente identificato con la necrofilia eletta a rituale e a ragion di vita.
Molta gente muore per le proprie idee, molta altra gente fa morire gli altri, per ideali o per interesse, ma quando la morte non viene considerata un mezzo per ottenere qualcos’altro bensì un valore in sé, allora abbiamo il germe del fascismo e dovremo chiamare fascismo ciò che si fa agente di questa promozione.
Dico la morte come valore da affermare per se stesso.
Non dico la morte per cui vive il filosofo, il quale sa che sullo sfondo di questa necessità, e tramite la sua accettazione, prendono senso gli altri valori; non dico la morte dell’uomo di fede, il quale non rinnega la propria mortalità e la giudica provvidenziale e benefica perché attraverso di essa arriverà a un’altra vita.
Dico la morte sentita come “urgente perché è gioia, verità, giustizia, purificazione, orgoglio, sia che venga data ad altri sia che venga realizzata su di sé”.
Ortega y Gasset ricordava che i Celtiberi erano l’unico popolo dell’antichità che adorasse la morte.
Non dirò che i Celtiberi fossero archeologicamente fascisti, dico che fu in Spagna che apparve durante la guerra civile il grido “Viva la muerte!”.
Il fascismo primitivo ed eroico portò la morte sulla camicia e sul fez e nel colore stesso delle sue divise.
Volle andare incontro alla morte con un fiore in bocca, parlò di sorella morte con accenti non francescani, se ne fregò della brutta morte (non credo che Matteotti, Rosselli o Salvo D’Acquisto se ne fregassero della morte bruttissima che fecero).
E se mi dite che molte tradizioni religiose hanno elaborato rituali funebri in cui il senso della penitenza veniva fortemente inquinato dal gusto della necrofilia, diremo allora, in piena tranquillità, che anche là si annidavano i germi di un fascismo possibile, come nelle celebrazioni dell’olocausto e del karakiri della tradizione militaristica giapponese.
Amare necrofilicamente la morte significa dire che è bello riceverla e rischiarla, e che ancor più bello e santo è distribuirla.
Che solo la morte paga, meglio se quella altrui, ma al limite anche la propria, purché vissuta con sprezzo.
L’amore della morte (che domina anche le pratiche dei drogati) fa sì che appaia bello “buttar via” la propria vita.
Per amare la morte bisogna profondamente odiare la vita (ci sono invece martiri e suicidi che muoiono senza odiare la vita, anzi, per eccesso d’amore).
Amare la morte significa credere in fondo al cuore che essa risolva molte cose, e meglio.
Questo odore di morte, questo puteolente bisogno di morte, si sente oggi in Italia.
Se questo voleva il terrorismo (nel suo animo profondamente, ancestralmente squadrista) l’ha avuto.
Ha chiamato a raccolta pulsioni profonde, fascismi variamente mascherati, ignoti anche a chi li celava repressi nell’inconscio.
Li ha fatti ribollire nel ventre a persone altrimenti miti e nobilissime, che per un attimo hanno ceduto al richiamo delle Madri oscure, e hanno dimenticato che anche Mussolini appeso per i piedi a piazzale Loreto e crivellato di pallottole, forse era giustizia, ma non era bene.
Lettori di Beccaria, hanno parlato come Lovecraft.
Forse dovremmo difenderli anche da se stessi, perché non è questo che vogliono, non è questa l’alleanza che cercavano, né la soluzione.
Le madri col bambino in braccio che firmavano a Bologna, il tassista che mi dice “al muro, al muro, e addebitiamo le munizioni alla famiglia!”, ragionano come il ragazzo di Prima linea che crede che la morte di Tobagi valga come appello, richiamo, monito, manifesto.
Le responsabilità penali sono certo diverse, ma in tutti gioca la persuasione che la morte anziché una necessità che arriva da sola, e per la quale bisogna vivere, sia una pratica di purificazione da produrre in anticipo sulla natura.
E che la commini lo Stato o una banda armata, è sempre morte, sporca perché crede di essere Purificatrice e perché in qualche modo dà soddisfazione.
Invece la morte buona, e cioè quella naturale, è quella che non dà piacere a nessuno, né a chi muore né a chi resta, quella per la quale nessuno possa dire “ci voleva!”.
Ho discusso con alcuni ragazzi che, spinti da amor di vita, cono andati a tirare uova marce contro i firmatari per la pena di morte.
Marcio contro marcio, non paga.
Formate lunghe e cupe processioni per la città, gli ho consigliato, con cappucci neri, e ceri, e grandi cartelli in cui si vedano i volti dei fucilati della Comune, le schiene dei fucilati di Villarbasse, le teste mozzate dal capolavoro del dottor Guillotin, la faccia di chi nella camera a gas aspetta che la pastiglia cada nella vaschetta dell’acido per formare il vapore tossico.
E i bambini impalati dal voivoda Dracula, e le ragazze streghe sul rogo, e poi Moro, Bachelet, Tobagi, Alessandrini, e qualche ebreo.
Fate una grande sagra della morte nelle nostre città: date alla gente l’odore della morte, il sapore della morte, l’impressione tattile del liquame che esce dalle narici e dalle orecchie di un corpo in decomposizione, fate sentire lo schifo della morte provocata ad arte in nome di una qualsiasi giustizia.
Siate sgradevoli, fate vomitare le donne incinte, costringete la gente a fare le corna, a toccarsi i testicoli, a rientrare in casa come se ci fosse il coprifuoco.
Solo per un giorno, in modo che il paese si accorga che sta prendendo gusto alla morte e ricordi cos’è la morte, e tutti si chiedano se non stiamo diventando pazzi.
Poi smettete anche voi, perché a giocare troppo con l’immagine della morte ci si prende gusto.
Finalmente un Oscar che doveva essere assegnato da almeno cinquant’anni! Orgogliosi di avere un italiano come Ennio Morricone, immenso musicista famoso soprattutto per le sue colonne sonore (più di 500 tra film e serie TV!), ma autore in realtà di tantissime notevoli composizioni che spaziano dalla canzone di musica leggera alla sperimentazione, alla musica da camera, alla musica vocale, e molto altro ancora. Il mondo ce lo invidia da sempre, però solo nel 2007 la commissione degli Academy Honorary Awards gli consegna l’Oscar alla carriera, una sorta di risarcimento per non averlo premiato in precedenza. Così siamo giunti alla statuetta di ieri sera, la prima in assoluto della sua categoria per la miglior colonna sonora del film di Quentin Tarantino The Hateful Eight. Dopo Nino Rota, vincitore nel 1975 con Il Padrino Parte II, Giorgio Moroder, nel 1978 con Fuga di Mezzanotte, Nicola Piovani, nel 1999 con La vita è bella, Ennio Morricone è il quarto italiano a ottenere il più ambito trofeo. Una curiosità, che va al di là della musica e mi rende doppiamente fiero: Ennio Morricone non è soltanto un grande musicista ma anche un grande tifoso della Roma. Oscar giallorosso!
Tra tutte le sue musiche ho fatto una scelta personalissima mettendo un brano a cui sono legato dal titolo Confuso notturno, tratto dal programma televisivo del 1980, andato in onda su Rete 2, Dietro il processo: il caso Pasolini.
Nato da un’idea dell’architetto, designer Giò Ponti, e istituito nel 1954, il Premio Compasso d’oro è un riconoscimento assegnato dall’Associazione Disegno Industriale che intende premiare e valorizzare il disegno industriale italiano. Si tratta del premio più antico del genere al mondo. All’inizio, oltre all’ADI, il Compasso d’oro aveva come sponsor i magazzini La Rinascente, dal 1964 il premio è passato del tutto all’ADI.
Il premio fa riferimento al compasso di Adalbert Goeringer e alla proporzione aurea. Disegnato dal grafico Albe Steiner, è opera degli architetti Marco Zanuso e Alberto Rosselli.
La scelta degli oggetti da premiare avviene tramite una preselezione dell’Osservatorio permanente del Design, composto da critici, storici, designer e giornalisti che possono anche non essere soci dell’ADI. A partire dal 1998 gli oggetti che hanno superato questa prima selezione vengono segnalati con l’ADI Design Index che li include nell’annuario omonimo. Ogni triennio, una giuria internazionale seleziona tra gli oggetti segnalati negli annuari del triennio precedente quelli a cui assegnare il premio Compasso d’oro. Tutti i beni premiati e segnalati (Compassi d’oro, Menzioni d’Onore e Targhe Giovani) sono raccolti nella Collezione Storica Compasso d’Oro ADI assegnata alla Fondazione ADI (in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con la Soprintendenza Regionale), creata nel 2001 da ADI per tutelare e valorizzare questo importante patrimonio.
A cadenza triennale sono assegnati dai 10 ai 20 premi Compasso d’Oro: il massimo riconoscimento della premiazione; da 75 a 150 Menzioni d’Onore per il Compasso d’Oro, fino a 9 premi Compasso d’oro alla carriera e fino a 3 “premi speciali internazionali”.
Compasso d’Oro
Vengono premiati con il Compasso d’Oro beni ritenuti di assoluta eccellenza.
Menzioni d’Onore
Vengono premiati con la Menzione d’Onore per il Compasso d’Oro i beni ritenuti di eccellenza in una di queste categorie: Design per l’abitare, per l’ambiente, per il lavoro, per la persona, per il sociale, tecnologia dei materiali e dei componenti, servizi, allestimenti, comunicazione, ricerca per l’impresa, ricerca teorica (storica e critica).
Compasso d’Oro alla Carriera
Premia personalità, imprese ed enti (italiani o operanti significativamente in Italia) che si sono distinti con riconoscenza da parte della giuria in ambito progettuale, di ricerca, insegnamento, produzione o distribuzione.
Premio internazionale
Qualsiasi azienda, personalità, scuola, ente o istituzione, purché non residente in Italia) che si è particolarmente distinta nel settore del design industriale.
Targa Giovani
Studenti delle scuole di design italiano di ogni ordine e grado che si sono distinti per produzioni, ricerche, elaborati, progetti, auto-produzioni purché oggetto di tesi o di esame finale.
I edizione – 1954
Giuria: Aldo Borletti, Cesare Brustio, Gio Ponti, Alberto Rosselli, Marco Zanuso.
Commissione Internazionale per i Gran Premi Ivan Matteo Lombardo, Tommaso Gallarati Scotti, Umberto Brustio, Johannes Itten, Lüdwig Gröte, Giulio Carlo Argan, Franco Albini
Le oselle, monete coniate in argento, ed anche in oro, dalla Zecca veneziana, furono così denominate perché avevano sostituito il dono di cinque anitre (appunto oselle In dialetto) destinato dal Doge a fine anno ai patrizi presenti nel Maggior Consiglio. La prima osella apparve sotto il dogado di Antonio Grimani (1521-23).
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Esce Materiali Resistenti Prospektiva 58 edito da Tra le righe. Una raccolta di testi e documenti che ruotano intorno alla forza innovativa del carteggio tra Gandhi e Tolstòj.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo nel laboratorio letterario.
C’è molto da scrivere per formare un’enciclopedia di materiali resistenti. Resistenti al vento e alle ignoranze, ai morsi della fame e le piaghe sui piedi, ai sorrisi effimeri di soldatesse bulimiche e ai corpi annegati.
Resistenti al lento evolversi di un tempo che corre oltre la decadenza stessa, diventando vortice e spirale annodata.
Figli di un solitario consumismo i cittadini non “sono” più se non solamente e tristemente Vittime della sindrome di Robinson Crusoe.
Ognuno chiuso nella propria piccola isola.
Pronto ad alzare bandiere e mostrare indignazione, ma ben serrato nel piccolo mondo, nella proprietà privata dei sentimenti e delle storie, di una rinnovata fotocopia dell’isola di Pasqua.
CMC7- 7004, macchina marcatrice caratteri magnetici, Mario Bellini, Ing. C. Olivetti & C. S.p.A.
Premiati:
CMC7-7004, macchina marcatrice di caratteri magnetici, Mario Bellini, Ing. C. Olivetti & C. Spa, Ivrea (TO)
Spinamatic, spillatore per birra, Achille Castiglioni e Pier Giacomo Castiglioni, Poretti Spa, Milano
Segnaletica e allestimento Metropolitana Milanese, Franco Albini e Franca Helg, in collaborazione con Antonio Piva e Bob Noorda, Metropolitana Milanese Spa, Milano
K 1340, seggioline, Marco Zanuso in collaborazione con Richard Sapper, Kartell Srl, Milano